mercoledì 15 ottobre 2008

(RI)BLOCCHIAMO L’UNIVERSITA’!!

La giornata di ieri ha visto la massiccia mobilitazione di centinaia di studenti che, auto – organizzandosi, sono riusciti ad ottenere il blocco della didattica in tutta via balbi.
Tale atto non rappresenta una manifestazione di violenza da parte di un settore minoritario degli studenti, come alcuni sostengono, bensì esso e’ l’esplicita risposta che noi studenti genovesi abbiamo dato alla violenza che il governo ci riversa addosso con i tagli all’Universita’, con la limitazione del turn – over, con la trasformazione delle universita’ in fondazioni.
Non vogliamo diventare i fantocci delle imprese!!!!


Riprendiamoci ciò che loro quotidianamente ci tolgono, mobilitiamoci per la difesa dei nostri interessi immediati

Organizziamo attivita’ autonome ed autogestite anche in universita’!

Per un movimento studentesco indipendente ed autorganizzato!

martedì 14 ottobre 2008

GLI STUDENTI CON I LAVORATORI!

CONTRO L’UNIVERSITA’ DI CLASSE

CONTRO LE UNIVERSITA-FONDAZIONI



BLOCCHIAMO L'UNIVERSITA'

MERCOLEDI' 15 OTTOBRE
DALLE ORE 9
VIA BALBI 4

mercoledì 1 ottobre 2008

Attivo del 10 Ottobre per lo sciopero generale del sindacalismo di base

La difesa degli interessi di classe dei lavoratori può essere realizzata solo dai lavoratori stessi



Basta deleghe
Basta concertazione
Basta illusioni parlamentaristiche


Venerdì 10 ottobre ore 17.00
Facoltà di Filosofia, Balbi 4 aula M


Incontro dibattito
“Perché partecipiamo allo sciopero generale del 17 ottobre
e al corteo di Milano promosso dal sindacalismo di base”



Sin.base - Sindacato di base -
USI-AIT liguria
Comitato Studentesco


ALCUNE CONSIDERAZIONI PER UNA MOBILITAZIONE DI CLASSE

Si avvicina l’autunno, e con la tramutazione del famosissimo decreto Brunetta, la fantomatica stretta sui fannulloni, ci si ripresenta l’ennesima occasione di mobilitazione.
Tale atto, infatti, non rappresenta altro che l’ennesima espressione legislativa, e quindi sovrastrutturale, di riorganizzazione dello Stato capitalista, dettata da tutta una serie di condizioni che giungono sempre più a maturazione.
Una competitività sempre più agguerrita sul mercato internazionale, l’entrata in quest’ultimo di nuove potenze emergenti, la necessità di difesa dei propri mercati e dell’accaparramento delle risorse energetiche mediante guerre, portano le borghesie nazionali ad una generale riorganizzazione del proprio stato.
Insomma, tale situazione porta ad un disperato bisogno di capitali da investire, considerando anche la strutturale caduta marginale del saggio di profitto, a cui vari settori della borghesia rispondono con compressioni salariali, aumento della produttività del capitale variabile (forza – lavoro), riduzione di quelle spese improduttive che, negli ultimi decenni, sono state di monopolio statale.
Per quanto riguarda l’Italia, il d.l 112 non rappresenta altro che la continuazione di una politica riorganizzatrice che, come minimo, ha origine a metà degli anni ’70.
Riorganizzazione industriale, smantellamento del welfare, sgretolamento salariale (si pensi solo all’abolizione della scala mobile), liberalizzazioni, scippo del TFR, sono solo alcuni esempi delle molte tappe di questo processo riorganizzativo, di cui il decreto Brunetta non è che la più recente.
Tale decreto, in breve, prevede una corposa riorganizzazione della pubblica amministrazione che apporta modifiche al contratto a termine (art. 21), al contratto accessorio (art. 22), al contratto d’apprendistato (art. 23); insomma si perpetua e si estende la precarietà lavorativa.
Si registra inoltre negli intenti del decreto il peggioramento delle condizioni dei lavoratori pubblici in merito ai trattamenti economici ed alla disciplina delle assenze per malattia e permesso retribuito.
La “svolta” brunettiana prevede ripercussioni, poi, anche sul sistema universitario, con un cospicuo taglio dei fondi (fino a 160 milioni di euro), limitazione del turn-over e , dulcis in fundo, la possibilità di poter trasformare le Università in fondazioni (regolate quindi dal diritto privato).
Che l’Università sia inserita in un più ampio scenario di riforma non è casuale, anzi è la dimostrazione che il modello formativo non sia che uno dei tanti ambiti statali in cui si esplicitano gli effetti della riorganizzazione del sistema produttivo.
Il nocciolo della questione è, e rimane, il sistema produttivo, ed in particolare le relazioni sociali di produzione che da esso derivano; i rapporti di forza tra le classi che si strutturano in esso e che poi vanno a riflettersi negli altri ambiti.
L’attuale sistema di produzione necessita dell’attuale sistema di formazione, che trasforma scuole ed Università in veri e propri “parcheggi” per futura forza – lavoro salariata, che niente hanno a che vedere con cultura e formazione.
L’università in una società capitalistica non diventa altro che strumento del Capitale nell’ambito “formativo”, svolgendo essenzialmente due funzioni.
La prima, è quella di produrre un esercito di forza lavoro specialistica in maniera che essa sia il più possibile inseribile nei meccanismi di sfruttamento capitalistico, facendo in modo di togliere l’unico strumento difensivo per la forza – lavoro, che è la qualifica.
Creare questo esercito di lavoratori serialmente formabili e quindi facilmente sostituibili è uno dei servigi più utili che l’Università può offrire al Capitale; naturalmente oltre a quello di ritardare il più possibile la loro entrata nel mondo del lavoro, così da salvare l’equilibrio tra domanda e offerta.
L’utilizzo senza limiti di stage, tirocini formativi, contratti d’apprendistato dimostra come finita la “falsa” formazione, si necessiti di quella vera, destinata all’inquadramento della forza – lavoro nell’organizzazione produttiva capitalistica.
La seconda funzione si riduce alla riproduzione dei quadri della classe dominante e della sua cultura.
A tutti gli studenti, in maniera più o meno consapevole, sono noti i corsi in cui la spicciola ideologia borghese sul mercato, sulla fantomatica funzione redistributrice dello Stato, sull’eguaglianza formale dei cittadini, vengono fatte passare come verità scientifiche inoppugnabili.
Nessuna messa in discussione di tali assiomi salomonici è concessa.
La loro riproduzione culturale è così assicurata: masse di studenti crescono non abituandosi alla libertà d’analisi, al mettere in discussione se stessi e ciò che studiano; alla faccia della rigidità e libertà scientifica con cui molti professori si riempiono la bocca, ma che quasi sempre si riduce a scientismo borghese.
Alla luce di ciò si deve davvero aver un bel coraggio a parlare ancora di “Tramonto dell’Università” e di “Qualità dell’insegnamento e della ricerca in pericolo”, come fa il baronato per difendere i propri privilegi dalla scure del ministro Brunetta.

Premesse per la strutturazione di una mobilitazione ci sono, tuttavia il primo passo pratico d’attuare è quello contro la contaminazione della protesta da parte delle elité baronali universitarie che con i loro servigi hanno contribuito alla dequalificazione dell’università o meglio ad un perfezionamento dell’Università di classe.
Insomma, questi signori che ora urlano tanto, sono tra i primi responsabili della situazione attuale, dove la cooptazione è lo strumento cardine per la selezione del personale docente, che dovrà difendere, propagandando la scientificità dei propri insegnamenti, proprio la natura classista dell’Università.
Occorre necessariamente non accodarsi a questi signori in difesa della LORO istruzione, ma essere autonomi e determinati nella difesa dei NOSTRI interessi, che sono contrapposti ai loro.
Farsi nuovamente manipolare da questa cricca di sapientoni, pronti a urlare contro il Governo in difesa della loro corporazione, però subito accondiscendenti alla prima miserevole concessione di qualche beneficio, sarebbe drammatico.
Altrettanto drammatico sarebbe, anche, limitare la mobilitazione al solo ambito universitario, o comunque a rivendicazioni prettamente studentesche.
Quello che abbiamo di fronte è un fenomeno generale, che colpisce la generalità dei lavoratori in quanto classe; un tentativo di risposta non potrà che essere di classe.
Solo così il fenomeno di trasformazione in Fondazioni, cessa di essere riferibile alle sole Università, ma inizia ad essere affrontato in maniera generale, denunciando dunque un processo che riguarda tanto le Università come, per esempio, le Asl.
Il meccanismo che andremmo a denunciare in questo modo, cessa di essere una mera questione di diritto (passaggio dal diritto pubblico al diritto privato), ma diventa denuncia della trasformazione dei servizi basilari in business, in procedure che servono a fare profitto e non a soddisfare necessità sociali.
La mobilitazione si trasforma così in un’accusa diretta al sistema capitalista, che si struttura sempre più come un ostacolo allo sviluppo sociale.
Evidenziare ciò significa presupporre la centralità dei lavoratori e del loro protagonismo come una necessità immediata; noi a questo potremmo unirci solo se finiremo di considerarci genericamente studenti, ma se inizieremo ad agire come settori organizzati di attuale e futura – forza lavoro salariata.
Se su questi binari la mobilitazione poi nello specifico potrebbe strutturarsi:

· nell’organizzazione di dibattiti/assemblee nelle facoltà e nelle scuole medie superiori
· nell’intervento sui posti di lavoro e nelle assemblee dei lavoratori
· nella nostra partecipazione allo sciopero generale del sindacalismo di base indetto per il 17 ottobre, con manifestazione a Milano
· nell’organizzazione dell’Assemblea nazionale


Il tempo è poco ma il lavoro è tanto; compagni, rimbocchiamoci le maniche!