martedì 22 aprile 2008

In questi giorni ci é stato inviato un intervento di un compagno di Spezia, che analizza il risultato elettorale della scorsa settimana.
Intervento interessante, che abbiamo reputato utile pubblicare anche sul nostro blog.
Naturalmente ci auspichiamo che questo sia l'inizio di una proficua discussione sul tema.
Comitato Studentesco
Spariti in un baleno
“Per la prima volta dal dopoguerra non ci sono più comunisti e socialisti in parlamento! Ma come faranno i lavoratori adesso che nessuno li rappresenta più?” Questa patetica buffonata è l’ennesima mistificazione uscita dalla bocca dei dirigenti della “sinistra radicale”. Fa il doppio con quella del risarcimento sociale, imminente, che il governo Prodi avrebbe predisposto, ma che non ha potuto elargire per responsabilità di Dini, Mastella ecc.
In parlamento non siederanno più, tra gli altri, quei determinati bolscevichi del tipo di Pecoraro Scanio, Giordano, Boselli ecc.
In realtà se nessuno rappresenta oggi i lavoratori in parlamento, nessuno li rappresentava neppure nel parlamento uscente: quasi centocinquanta parlamentari di Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi ecc. hanno votato e rafforzato le politiche padronali liberiste, sono stati fedeli scudieri degli interessi dei banchieri (si pensi al TFR dei lavoratori regalato alla speculazione di borsa), hanno canalizzato la protesta verso la resa (vedi la “grandiosa” marcia del 20 ottobre contro il protocollo sul welfare ed il successivo voto a favore del provvedimento) e regalato un fiume di miliardi alle imprese. Hanno riconfermato le leggi sulla precarietà (che peraltro avevano già contribuito a varare), votato per finanziare l’acquisto di armi per le FF.AA., (il più alto stanziamento per la Difesa della storia repubblicana), hanno pagato missioni militari all’estero (e vere e proprie guerre d’aggressione, come la guerra “umanitaria” contro Belgrado). Hanno regalato la rappresentanza garantita ai sindacati di regime. Hanno avvallato la prosecuzione del patto militare segreto con Israele. Hanno accettato la NATO. Sono stati (al di là della propaganda ufficiale di Veltroni) i più fedeli sostenitori di Prodi, al punto di cacciare anche chi timidamente si opponeva a qualche sconcezza.
I maggiordomi fedeli della borghesia non servono più, oggi la borghesia si rappresenta da sola nelle sue istituzioni. La bancarotta bertinottiana è totale, è arrivata al capolinea del travaso di voti verso la destra populista e xenofoba della Lega. (Questo la dice lunga sulla capacità di convincimento ideologico dei fautori dell’”altro mondo possibile”).
Il re è nudo.
Per l’ennesima volta si evidenzia quanto sia illusoria l’idea che sia possibile, tramite la collaborazione di classe, rappresentare gli interessi dei lavoratori, strappare conquiste o, quantomeno, “ridurre il danno” delle politiche padronali. Per anni ed anni i gruppi dirigenti di Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi ecc. hanno fatto credere che la politica “responsabile” della sinistra fosse questa. E non si è trattato solo di una scelta politica “dissennata”, alla base di questo agire politico sta la scelta opportunista di garantirsi la prebenda personale, di tenere il fondoschiena sul calorifero protettivo delle istituzioni. Perché alla base di questo modello politico, di co-gestione del potere, sta l’accettazione del modello statuale -l’idea della neutralità delle istituzioni, cardine della mitologia resistenziale- e dei suoi organi di rappresentanza, le uniche tribune dove valesse davvero (per Bertinotti & soci) spendere il proprio genio.
I dirigenti a palazzo e la base a mescolare il minestrone e a friggere le cotolette, perché altro non ci si aspetta (anzi, così si vuole) dal militante di base. Non credo peraltro ad una base “sana” contrapposta ad una direzione “corrotta”; la collaborazione opportunista per Rifondazione ecc. è sorta prima in periferia (da subito collusi con le amministrazioni locali diessine e le loro porcherie liberiste, privatizzazioni, esternalizzazioni e creazione di precariato) sin dalla nascita di questo partito e senza soluzione di continuità. Per anni chi si opponeva a questo, in buona fede, dall’interno del partito, è stato deriso, emarginato, epurato. E non poteva essere altrimenti, disturbava i manovratori.
All’interno di Rifondazione (ma anche degli altri partiti più piccoli della coalizione arcobaleno), esistono vere proprie lobbies, cordate di potere spesso in lotta fra di loro per assicurarsi il posto nell’azienda municipalizzata, nel consiglio di amministrazione, l’assessorato o lo scranno di parlamentare. Questo è speculare e corrispondente a quanto avviene in tutti gli altri partiti borghesi.
Se una base elettorale, “educata” all’unità strategica con la borghesia, disillusa sulla possibilità di ricevere qualche briciola, ingannata quotidianamente per anni, ha voltato le spalle a questo carrozzone di falsari, preferendo votare direttamente per i partiti della borghesia, come ci si può rammaricare? Hanno affermato per anni che in primis occorreva battere Berlusconi, nel frattempo hanno dispensato legnate (non raccontino che è solo colpa di Prodi) a quella classe sociale che millantavano di rappresentare. Hanno dimostrato di essere un ente inutile, anzi dannoso, e così sono stati percepiti dagli elettori.
E’ prevedibile che un’ondata di roditori abbandoni la carcassa del galeone naufragato per altri lidi più remunerativi, e che altri riprovino a ripercorrere le stesse strade, con un puntiglio patetico (Bertinotti che punta ancora a costruire l’Arcobaleno, Diliberto che vuol tornare alla falce e martello, come se camuffare l’opportunismo lo rendesse ancora presentabile,) ma questo è per me del tutto irrilevante. E’ un passo avanti che il carrozzone dei falsari non sia più lì a mistificare una rappresentanza che non gli compete. Certo, oggi pensare di costruire una sinistra di classe opposta agli interessi della borghesia non è uno scherzo, ma era una priorità anche prima, e comunque senza questi illusionisti tra le scatole c’è qualche possibilità in più.
L’aggressione padronale continuerà con vigore, ed i lavoratori sono oggi politicamente inermi, come lo erano ieri, ma il fatto che si sia azzerato tutto potrebbe rimettere in movimento quelle spinte sane all’aggregazione di lavoratori sulla base di programmi di classe che per troppi anni non hanno funzionato. Naturalmente starà ai compagni di rimboccarsi le maniche perché questo possa avvenire.
Umberto Cotogni

martedì 8 aprile 2008

REPRESSIONE ARMATA IN TIBET E SILENZIO SULLA CONDIZIONE DEI LAVORATORI CINESI

In queste ultime settimane si sono levati cori di sdegno verso la repressione delle proteste tibetane da parte delle forze di polizia della Repubblica Popolare Cinese.
Tutti i maestranti della politica di qualsiasi colore, davanti alle violenze sui manifestanti (e mai prima, lontano dai riflettori) hanno espresso parole di condanna nei confronti della Cina e sostegno alla causa di indipendenza del Tibet.
Si sono sentiti tutti in dovere, in Italia come in Europa e negli Usa, di protestare, giudicare e condannare, ma le proteste, i giudizi e le condanne si sono dimostrate spesso opportunistiche e sempre superficiali.
Premesso che il diritto di autodeterminazione dei popoli pare valere a corrente alternate., a secondo dei rapporti d’interesse geopolitici (il Medioriente insegna), tutte le denunce nei confronti della Cina si soffermano sempre nel particolare della questione tibetana e celano la triste realtà del sistema capitalista cinese.
Negli ultimi decenni, i capitalisti europei ed americani hanno fatto enormi fortune investendo massicciamente in Cina, paese che è diventato un paradiso per i profitti capitalistici e un inferno di supersfruttamento per il proletariato.
Secondo i dati della Banca Mondiale, tra il 1990 e il 2001, il rapporto tra il 20% della popolazione più ricca e il 20% più povero è salito dal 6,5 al 10,6.
Quella cinese è la società più diseguale di tutta l’Asia, nella quale più di 170 milioni di cinesi vivono con meno di un dollaro al giorno.
Il processo di proletarizzazione dei contadini poveri procede inesorabilmente con migliaia di persone che sono costrette ad abbandonare le proprie case per essere inseriti nel sistema di produzione capitalista.
Le condizioni della classe operaia sono simili a quelle dei lavoratori nell’Inghilterra ottocentesca: l’80% di tutte le morti per lavoro tra i minatori, a livello mondiale, avvengono in Cina, fatto che dimostra come il paese si stia trasformando nel terreno di un capitalismo che estrae plus-valore dalle masse produttive.
Le responsabilità di questa disastrosa situazione sono da attribuire al Partito Comunista Cinese e agli organi ad esso asserviti, i quali non si sono limitati ad essere semplici delegati del capitalismo, trasformando essi stessi in un settore importante della nuova classe dei proprietari.
Dal particolare della situazione tibetana, quindi, occorerebbe passare ad una denuncia degli aspetti generali che caratterizzano la situazione cinese, interpretandola come l’ennesima espressione della barbarie del capitalismo internazionale.
Allo sdegno per la repressione in Tibet dovrebbe allora associarsi anche lo sdegno per un sistema capitalista che ammorba la maggioranza della popolazione operaia e contadina.

Nessuna contrapposizione è però utile tra un capitalismo occidentale “buono” e un capitalismo cinese selvaggio e repressivo; utile è invece una solidarietà reale tra le classi lavoratrici di tutto il mondo contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

lunedì 7 aprile 2008

UNA GIORNATA DELLA MEMORIA SMEMORATA?

Ripensando la «giornata della memoria», indetta per ricordare la barbarie dei campi di concentramento di sterminio, non possiamo non rilevare come siano stati sottaciuti i Gulag di marca stalinista. Forse perché nei Gulag non si moriva per la razza «non ariana» ma perché era sufficiente essere un lavoratore «utile» alla costruzione di canali, miniere, acciaierie e quant’altro. In comune avevano invece la repressione, l’identica sorte destinata ai ribelli ed ai «comunisti di sinistra» difensori, in Germania come in URSS, dei lavoratori.


L’ingresso di Auschwitz recante la ben nota scritta «il lavoro rende liberi


E’ bene ricordare che, quando la Germania occupava vittoriosa mezza Europa, la borghesia italiana stava ben attaccata al carro del vincitore e non mirava ad altro che a spartirsi, per quanto poteva, il bottino di guerra col vincitore.


L’ingresso del campo base di Vorkuta recante la scritta:
«In URSS il lavoro è una questione d’onore e di gloria»


Così com’è bene ricordare il «profondo cordoglio» con cui il Parlamento italiano accolse la notizia della morte di Stalin, così come è bene ricordare gli affari italiani, da Togliattigrad ai gasdotti siberiani, felicemente conclusi con l’URSS.




Servi sciocchi dei criminali in vita,
ipocriti commemoratori delle loro vittime quando deceduti.
E questi sarebbero «rappresentanti del popolo»?
Tra breve chiederanno il voto anche a te:
Non delegare la tua rappresentanza a questi «signori della politica»!
Difendi i tuoi interessi in prima persona partecipando al Comitato Studentesco!