mercoledì 17 dicembre 2008

PER UNO SCIOPERO GENERALE E GENERALIZZATO!

Mentre la Cgil, al fine di perseguire i propri obiettivi nelle contese burocratiche con le altre Confederazioni e di lavare l’onta del non invito a cena, indice uno sciopero generale di (sole) 4 ore, gli studenti ed i settori più attivi e combattivi dei lavoratori hanno deciso d’approfittare della situazione, per trasformare questa giornata, in un momento importante di mobilitazione, attraverso uno sciopero generale di 8 ore, contro la crisi ed i suoi effetti, che padroni e ( i loro) governi vorrebbero farci pagare.
Questa giornata non è altro che il risultato di due mesi di mobilitazione che noi studenti, insieme ai lavoratori dell’università e non, abbiamo portato avanti, attraverso diverse pratiche, tutte comunque accomunate dalla volontà politica di non pagare una crisi, creata da quegli stessi signori che, ora, ci vorrebbero togliere risorse, salari e posti di lavoro.
Lo slogan “NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO” è riecheggiato per mesi nei nostri cortei, tuttavia se vogliamo essere realmente conseguenti, e limitare davvero al minimo i costi che l’attuale e futura classe operaia dovrà pagare a questa crisi, dobbiamo renderci conto come l’unica politica a ciò utile sia fare fallire i falliti!
Che neanche un euro vada in tasca a banche ed imprese, chi deve fallire fallisca ora, senza protrarre oltre la crisi, e che tutte le risorse promesse vengano, invece, utilizzate per sostenere gli ammortizzatori sociali!
Solo in questa maniera si potrà evitare lo sviluppo della crisi e l’ingigantimento dei suoi effetti, cosa a cui tutta la classe dominante punta, per salvare imprese e capitale fisso, non capendo come a tutto ciò si sia arrivato proprio per una sovrapproduzione di capitale.
Uniamo su questa piattaforma, chiara e di classe, tutti gli strati più attivi di studenti e lavoratori, affinché possa crearsi un fronte comune di contrapposizione a questa crisi e alle conseguenti politiche che altro non sono che il frutto delle contraddizioni di un sistema capitalistico, ormai limite al libero sviluppo sociale.

A livello più prettamente studentesco nelle prossime settimane dovremo quindi dedicarci a chiarire queste posizioni all’intero movimento studentesco, in cui ancora ampi settori si attardano su posizioni influenzate dall’opportunismo baronale, dalla logica di contrastare il singolo spreco e da una visione meramente istituzionale del problema dei tagli alla scuola e all’università.
Se una cosa in questi mesi si è capita, e questa giornata ne è la piena dimostrazione, è proprio il fatto che la trentennale crisi della scuola e dell’università non è che uno degli effetti di una crisi più ampia, di una crisi sociale; di una crisi di una società divisa in classi che non può che riprodurre una scuola ed un università di classe, e che in un ambito di saturazione del mercato del lavoro, non si può che ridurre a parcheggio per giovani disoccupati.
La nostra lotta e la nostra mobilitazione dovrà, dunque, iniziare a tener conto di questo, permettendo così, da una parte di smarcarci da quelle false soluzioni di autoriforma che passano dai parlamenti e parlamentini più o meno studenteschi, dall’altra d’iniziare a pensare ad organismi studenteschi realmente permanenti, che nella loro genuina visione anti – capitalistica, possano costituire efficaci strumenti di lotta studentesca, sempre e comunque attenti alle problematiche della classe lavoratrice.


CHE LA CRISI SE LA PAGHINO I FALLITI…FALLENDO!

lunedì 8 dicembre 2008

Studenti e lavoratori:
no alla 133




VENERDI’ 5 DICEMBRE ore 17
Facoltà di lettere e filosofia (V. Balbi 4)

In avvio della due giorni di riflessione
sulla mobilitazione studentesca


INCONTRO – DIBATTITO
tra studenti e lavoratori di


Sin.Base Sindacato di Base e USI-AITLIGURIA


martedì 11 novembre 2008

NON PAGHEREMO LA VOSTRA CRISI!

A più di un mese dalle prime manifestazioni e dai primi segni di mobilitazione, siamo ancora qui, siamo ancora in piazza.
Nonostante la grande onda che ha investito tutta Italia, nonostante le migliaia di studenti scesi per le strade, il governo non ha battuto ciglio, approvando due settimane fa anche la Legge Gelmini (dopo aver approvato in sordina, ad Agosto, la legge 133).
Questa è l’ennesima dimostrazione di come questo Stato e questo governo (come qualsiasi governo) non siano altro che l’espressione politica delle classi dominanti.
Loro, oggi, hanno interesse a tagliare spese (che per loro sono improduttive) a trasformare gli Atenei ed i Licei in Fondazioni, a precarizzare ulteriormente la forza – lavoro, a salvare banche e banchieri.
Già da tempo abbiamo deciso di dire basta scendendo nelle piazze, riappropiandoci delle nostre università e dei nostri licei, contrapponendoci ad un ulteriore assoggettamento alle imprese ed al profitto.
Appare, dunque, sempre più necesario estendere la mobilitazione, non accontentandoci però di un mero ritorno allo status quo; la nostra lotta contro la riforma Gelmini, come contro la legge 133, non può ridursi alla difesa dell’Università baronale.
Insomma, non pagheremo la vostra crisi egregi banchieri e scommettitori di borsa. Né consentiremo al Governo ed alla gerontocratica CRUI mediazioni sulle nostre spalle.
Basta con l'inutile (per noi) moltiplicazione delle cattedre e degli stipendi, basta con le assunzioni familistiche.
Non è passato governo (divenuto poi opposizione) che non sia intervenuto sulla scuola 'riformandola' a modo suo.
Ma noi non stiamo giocando ma pretendendo un livello di qualificazione adeguato all'attuale carenza di offerta di lavoro.
E sono la scuola e l'università che devono adeguarsi e non solo noi poveri fessi a dover divenire “flessibili”, “mobili” a ... 500 € di stipendio precario, senza alcuna indennità e contributo sociale.
Il nostro primo obiettivo, quindi, deve essere quello di mantenere ed estendere la nostra autonomia, l’autonomia del movimento studentesco, da qualsiasi tipo d’interesse che non sia il nostro.
Contrapponiamo alla loro Università di classe, alla loro Università – fondazione, alla loro Università baronale, la nostra università; l’Università degli studenti, l’Università del sapere critico e del conflitto sociale!
Solo se sapremmo renderci autonomi ed indipendenti tanto nel pensare quanto nell’agire potremmo difendere i nostri interessi di studenti, cioè di futura forza – lavoro salariata, dall’attacco del capitale e del suo Stato.




VOGLIONO FARCI PAGARE LA LORO CRISI!
CHE SE LA PAGHINO LORO, FALLENDO!

mercoledì 15 ottobre 2008

(RI)BLOCCHIAMO L’UNIVERSITA’!!

La giornata di ieri ha visto la massiccia mobilitazione di centinaia di studenti che, auto – organizzandosi, sono riusciti ad ottenere il blocco della didattica in tutta via balbi.
Tale atto non rappresenta una manifestazione di violenza da parte di un settore minoritario degli studenti, come alcuni sostengono, bensì esso e’ l’esplicita risposta che noi studenti genovesi abbiamo dato alla violenza che il governo ci riversa addosso con i tagli all’Universita’, con la limitazione del turn – over, con la trasformazione delle universita’ in fondazioni.
Non vogliamo diventare i fantocci delle imprese!!!!


Riprendiamoci ciò che loro quotidianamente ci tolgono, mobilitiamoci per la difesa dei nostri interessi immediati

Organizziamo attivita’ autonome ed autogestite anche in universita’!

Per un movimento studentesco indipendente ed autorganizzato!

martedì 14 ottobre 2008

GLI STUDENTI CON I LAVORATORI!

CONTRO L’UNIVERSITA’ DI CLASSE

CONTRO LE UNIVERSITA-FONDAZIONI



BLOCCHIAMO L'UNIVERSITA'

MERCOLEDI' 15 OTTOBRE
DALLE ORE 9
VIA BALBI 4

mercoledì 1 ottobre 2008

Attivo del 10 Ottobre per lo sciopero generale del sindacalismo di base

La difesa degli interessi di classe dei lavoratori può essere realizzata solo dai lavoratori stessi



Basta deleghe
Basta concertazione
Basta illusioni parlamentaristiche


Venerdì 10 ottobre ore 17.00
Facoltà di Filosofia, Balbi 4 aula M


Incontro dibattito
“Perché partecipiamo allo sciopero generale del 17 ottobre
e al corteo di Milano promosso dal sindacalismo di base”



Sin.base - Sindacato di base -
USI-AIT liguria
Comitato Studentesco


ALCUNE CONSIDERAZIONI PER UNA MOBILITAZIONE DI CLASSE

Si avvicina l’autunno, e con la tramutazione del famosissimo decreto Brunetta, la fantomatica stretta sui fannulloni, ci si ripresenta l’ennesima occasione di mobilitazione.
Tale atto, infatti, non rappresenta altro che l’ennesima espressione legislativa, e quindi sovrastrutturale, di riorganizzazione dello Stato capitalista, dettata da tutta una serie di condizioni che giungono sempre più a maturazione.
Una competitività sempre più agguerrita sul mercato internazionale, l’entrata in quest’ultimo di nuove potenze emergenti, la necessità di difesa dei propri mercati e dell’accaparramento delle risorse energetiche mediante guerre, portano le borghesie nazionali ad una generale riorganizzazione del proprio stato.
Insomma, tale situazione porta ad un disperato bisogno di capitali da investire, considerando anche la strutturale caduta marginale del saggio di profitto, a cui vari settori della borghesia rispondono con compressioni salariali, aumento della produttività del capitale variabile (forza – lavoro), riduzione di quelle spese improduttive che, negli ultimi decenni, sono state di monopolio statale.
Per quanto riguarda l’Italia, il d.l 112 non rappresenta altro che la continuazione di una politica riorganizzatrice che, come minimo, ha origine a metà degli anni ’70.
Riorganizzazione industriale, smantellamento del welfare, sgretolamento salariale (si pensi solo all’abolizione della scala mobile), liberalizzazioni, scippo del TFR, sono solo alcuni esempi delle molte tappe di questo processo riorganizzativo, di cui il decreto Brunetta non è che la più recente.
Tale decreto, in breve, prevede una corposa riorganizzazione della pubblica amministrazione che apporta modifiche al contratto a termine (art. 21), al contratto accessorio (art. 22), al contratto d’apprendistato (art. 23); insomma si perpetua e si estende la precarietà lavorativa.
Si registra inoltre negli intenti del decreto il peggioramento delle condizioni dei lavoratori pubblici in merito ai trattamenti economici ed alla disciplina delle assenze per malattia e permesso retribuito.
La “svolta” brunettiana prevede ripercussioni, poi, anche sul sistema universitario, con un cospicuo taglio dei fondi (fino a 160 milioni di euro), limitazione del turn-over e , dulcis in fundo, la possibilità di poter trasformare le Università in fondazioni (regolate quindi dal diritto privato).
Che l’Università sia inserita in un più ampio scenario di riforma non è casuale, anzi è la dimostrazione che il modello formativo non sia che uno dei tanti ambiti statali in cui si esplicitano gli effetti della riorganizzazione del sistema produttivo.
Il nocciolo della questione è, e rimane, il sistema produttivo, ed in particolare le relazioni sociali di produzione che da esso derivano; i rapporti di forza tra le classi che si strutturano in esso e che poi vanno a riflettersi negli altri ambiti.
L’attuale sistema di produzione necessita dell’attuale sistema di formazione, che trasforma scuole ed Università in veri e propri “parcheggi” per futura forza – lavoro salariata, che niente hanno a che vedere con cultura e formazione.
L’università in una società capitalistica non diventa altro che strumento del Capitale nell’ambito “formativo”, svolgendo essenzialmente due funzioni.
La prima, è quella di produrre un esercito di forza lavoro specialistica in maniera che essa sia il più possibile inseribile nei meccanismi di sfruttamento capitalistico, facendo in modo di togliere l’unico strumento difensivo per la forza – lavoro, che è la qualifica.
Creare questo esercito di lavoratori serialmente formabili e quindi facilmente sostituibili è uno dei servigi più utili che l’Università può offrire al Capitale; naturalmente oltre a quello di ritardare il più possibile la loro entrata nel mondo del lavoro, così da salvare l’equilibrio tra domanda e offerta.
L’utilizzo senza limiti di stage, tirocini formativi, contratti d’apprendistato dimostra come finita la “falsa” formazione, si necessiti di quella vera, destinata all’inquadramento della forza – lavoro nell’organizzazione produttiva capitalistica.
La seconda funzione si riduce alla riproduzione dei quadri della classe dominante e della sua cultura.
A tutti gli studenti, in maniera più o meno consapevole, sono noti i corsi in cui la spicciola ideologia borghese sul mercato, sulla fantomatica funzione redistributrice dello Stato, sull’eguaglianza formale dei cittadini, vengono fatte passare come verità scientifiche inoppugnabili.
Nessuna messa in discussione di tali assiomi salomonici è concessa.
La loro riproduzione culturale è così assicurata: masse di studenti crescono non abituandosi alla libertà d’analisi, al mettere in discussione se stessi e ciò che studiano; alla faccia della rigidità e libertà scientifica con cui molti professori si riempiono la bocca, ma che quasi sempre si riduce a scientismo borghese.
Alla luce di ciò si deve davvero aver un bel coraggio a parlare ancora di “Tramonto dell’Università” e di “Qualità dell’insegnamento e della ricerca in pericolo”, come fa il baronato per difendere i propri privilegi dalla scure del ministro Brunetta.

Premesse per la strutturazione di una mobilitazione ci sono, tuttavia il primo passo pratico d’attuare è quello contro la contaminazione della protesta da parte delle elité baronali universitarie che con i loro servigi hanno contribuito alla dequalificazione dell’università o meglio ad un perfezionamento dell’Università di classe.
Insomma, questi signori che ora urlano tanto, sono tra i primi responsabili della situazione attuale, dove la cooptazione è lo strumento cardine per la selezione del personale docente, che dovrà difendere, propagandando la scientificità dei propri insegnamenti, proprio la natura classista dell’Università.
Occorre necessariamente non accodarsi a questi signori in difesa della LORO istruzione, ma essere autonomi e determinati nella difesa dei NOSTRI interessi, che sono contrapposti ai loro.
Farsi nuovamente manipolare da questa cricca di sapientoni, pronti a urlare contro il Governo in difesa della loro corporazione, però subito accondiscendenti alla prima miserevole concessione di qualche beneficio, sarebbe drammatico.
Altrettanto drammatico sarebbe, anche, limitare la mobilitazione al solo ambito universitario, o comunque a rivendicazioni prettamente studentesche.
Quello che abbiamo di fronte è un fenomeno generale, che colpisce la generalità dei lavoratori in quanto classe; un tentativo di risposta non potrà che essere di classe.
Solo così il fenomeno di trasformazione in Fondazioni, cessa di essere riferibile alle sole Università, ma inizia ad essere affrontato in maniera generale, denunciando dunque un processo che riguarda tanto le Università come, per esempio, le Asl.
Il meccanismo che andremmo a denunciare in questo modo, cessa di essere una mera questione di diritto (passaggio dal diritto pubblico al diritto privato), ma diventa denuncia della trasformazione dei servizi basilari in business, in procedure che servono a fare profitto e non a soddisfare necessità sociali.
La mobilitazione si trasforma così in un’accusa diretta al sistema capitalista, che si struttura sempre più come un ostacolo allo sviluppo sociale.
Evidenziare ciò significa presupporre la centralità dei lavoratori e del loro protagonismo come una necessità immediata; noi a questo potremmo unirci solo se finiremo di considerarci genericamente studenti, ma se inizieremo ad agire come settori organizzati di attuale e futura – forza lavoro salariata.
Se su questi binari la mobilitazione poi nello specifico potrebbe strutturarsi:

· nell’organizzazione di dibattiti/assemblee nelle facoltà e nelle scuole medie superiori
· nell’intervento sui posti di lavoro e nelle assemblee dei lavoratori
· nella nostra partecipazione allo sciopero generale del sindacalismo di base indetto per il 17 ottobre, con manifestazione a Milano
· nell’organizzazione dell’Assemblea nazionale


Il tempo è poco ma il lavoro è tanto; compagni, rimbocchiamoci le maniche!

venerdì 5 settembre 2008

NON PERDIAMO UN’ALTRA OCCASIONE!


A questo governo possono essere imputate molte cose, ma non certo quello d’aver perso tempo.
Non ha infatti perso tempo ad imbastire, da subito, un ampio disegno di riorganizzazione statale, che in ottemperanza alle direttive confindustriali, riformasse la complessa macchina statale. Ciò è stato iniziato con il decreto Brunetta, d.l 112 /08.
Tale decreto, nell’ottica di tale riorganizzazione ha conseguenze dirette anche sul sistema universitario italiano.
COSA PREVEDE IL DECRETO A PROPOSITO?
Essenzialmente un cospicuo taglio dei fondi a partire dal 2009 (prevedendo un “risparmio” che nel 2013 arriverà a 160 milioni di euro), una forte limitazione del turnover (quindi delle assunzioni), la trasformazione della progressione economica degli stipendi da biennale a triennale.
Tuttavia il più grande regalo a Confindustria deriva dalla possibilità a partire dal 2009 di poter trasformare le Università in Fondazioni, cioè in organismi regolati dal diritto privato e con la possibilità di far entrare soggetti privati (per lo più imprese) negli organismi di gestione delle stesse università.
LE REAZIONI DEL BARONATO ITALIANO
Tale presa di posizione del governo ha chiaramente indispettito e causato la rabbiosa reazione delle elite baronali universitarie, che nei loro appelli e comunicati (principalmente la CRUI- Conferenza dei Rettori delle Università Italiane – ed il Coordinamento dei Giovani Accademici) chiamano alla mobilitazione in salvaguardia dell’Università italiana.
Quello che in realtà questi personaggi hanno fatto è chiamare alla rivolta l’intera società per cercare di preservare e difendere i propri privilegi, derivanti dalla loro posizione di classe e dal processo di cooptazione che caratterizza le università e che per questo le rende baronali.
Ciò è anche dimostrato dal fatto che nei suddetti appelli non si fa una minima menzione critica alla questione delle Fondazioni e all’entrata delle imprese nelle Università; insomma la sottomissione della libertà scientifica (con cui questi si riempiono sempre falsamente la bocca) al capitale, al profitto e all’interesse privato trova profondamente d’accordo rettori, baroni e ricercatori.
Sono proprio loro i massimi teorici dell’efficienza, la ristrutturazione, l’egemonia del mercato, a patto che tutto ciò non tocchi loro stessi.
Se questo succede, beh, la resistenza è naturale, e non si tratta più del corporativismo di quattro fannulloni, bensì di una questione di salvezza nazionale. Non si capisce bene il meccanismo perché il tagliare i loro lauti stipendi dovrebbe mettere in crisi l’intera Italia.
Nonostante tutto, però, si continua a chiamare alla mobilitazione gli studenti, come si trattasse realmente di una questione di civiltà, quando invece quello che si vuol difendere è la stessa università di classe, un’università dequalificante basata sulla cooptazione degli amici degli amici, un’università dei privilegi, degli interessi e della cultura della classe dominante.
Già durante la protesta contro la famigerata Legge Moratti, si era assistito ad una situazione del genere, in cui baroni e rettori intervenivano nelle assemblee studentesche per fomentare la protesta, ben consci della necessità, alla prima concessione del governo, di dover abbandonare gli studenti in piazza. Sgomberi e repressioni sono state la logica conclusione del loro uso strumentale del movimento studentesco.
E NOI DOVREMMO SOSTENERE NUOVAMENTE QUESTI SIGNORI?
Ci si ripresenta, insomma, l’ennesima occasione di riaffermare l’autonomia del movimento studentesco e dei suoi strati più oppressi dagli interessi della classe dominante e dei suoi agenti in Università.
La nostra critica deve essere e sarà più radicale; una critica che metta in discussione l’intero disegno di riorganizzazione, che altro non è che un ulteriore attacco alla classe lavoratrice nel suo insieme.
Mobilitiamoci per mettere in discussione tutto ciò, per contrastare la continua sottomissione dei lavoratori e degli studenti al capitale ed ai suoi interessi!
Ciò lo potremmo fare solo se ci liberemo una volta per tutte dall’illusione di una possibile alleanza con l’elite baronale, e concentreremo i nostri sforzi nella costruzione di una più solida e organica alleanza, con i nostri alleati naturali: i lavoratori!
Coloro che realmente ogni giorno vivono l’attacco padronale e statale sulla propria pelle!
Solo costruendo alleanze sulla base di legami di classe potremmo realmente riaffermare la nostra autonomia dai padroni, dai lacché e dai servi sciocchi del capitale.

Urge assolutamente una doverosa scelta di campo;
noi la nostra l’abbiamo gia fatta!

lunedì 18 agosto 2008

ANCORA UNA GUERRA

Inseriamo di seguito un volantino dei compagni del Sin.Base, che tratta della recentissima vicenda Russo - Georgiana, non potendo che essere completamente d'accordo sulle conclusioni che i compagni traggono.
Comitato Studentesco

ANCORA UNA GUERRA!

In questo volantino riprendiamo dal prossimo opuscolo, alcune considerazioni sulla guerra Russia –
Georgia, avvenimento soltanto all'apparenza lontano dalle nostre necessità e dai nostri bisogni.
(Puoi richiedere l'opuscolo direttamente ai compagni del Sin.Base, telefonando o via e-mail)
Premessa
E' facile constatare come non si sia mai parlato tanto di pace e pacifismo come da quando decine di nazioni hanno
iniziato a mandare in giro per il mondo le loro truppe per «pacificare» aree in cui, evidentemente, si era o si è
arrivati alla guerra.
E' un fenomeno che ha una sua logica. Si diventa pacifisti quando è necessario, ossia quando la guerra è
diventata, per quanto triste, realtà.
I concetti stessi di pace e guerra sono inscindibili. L'uno ha senso solo in riferimento all'altro.
Per questa stessa ragione quando si affrontano argomenti del genere si rischia sempre per passare per tifosi
dell'una o dell'altra partigianeria. Critichi questa pace, sei un guerrafondaio. Critichi la guerra sei un pacifista.
A NOI NON PIACE LA LORO PACE, FIGURARSI LA LORO GUERRA.
I. qualcuno crede ancora che sia un caso che il governo Prodi, pur imbottito di pacifisti senza se e senza ma,
detenga il record delle spese militari?
II. Qualcuno crede ancora che le “riorganizzazioni”, le “razionalizzazioni”, i “tagli” alla spesa pubblica, alla
sanità, insomma a qualsiasi spesa qualsiasi governo consideri “improduttiva” perché non produce “profitto”,
siano fatti per aumentare il benessere della “popolazione”?
III. In realtà potete esserne certi, la seconda è funzione della prima che abbiamo detto. Come potete essere
certi che il governo che conquisterà il record nella seconda conquisterà anche un nuovo record nella prima.
E che lo farà a spese nostre potete esserne ancora più certi, certissimi.
Un brillante esempio di come la loro pace produca la loro guerra è quella, ancora in corso mentre scriviamo, tra
Russia e Georgia, con più morti che spettatori ad una finale di Champions League, ma poco importa non giocava
la squadra del cuore e, del resto, anche il pacifismo ha diritto alle ferie.
L'indipendenza, attribuita dalla pacifiche potenze “occidentali”, al Kossovo dalla Serbia ha fornito il precedente alla
Russia affinché Abkhazia e Ossezia del Sud, potessero essere resi, questa volta militarmente, indipendenti dalla
Georgia. Tutto in una zona economicamente strategica per le vie dell'energia quanto e se non più dei balcani.
Il resto è cronaca.
Quando l'accaparramento e l'esaurimento delle risorse naturali del pianeta «strangoleranno» la patria che cercava
«un posto al sole», siate certi che, incuranti della spesa pubblica, forniranno a tutti un bell'elmetto gratuito.
Soltanto quando nelle nazioni si cesserà di vivere di lavoro altrui, sarà possibile farla finita con nazioni che
campano sfruttando le necessità delle altre più deboli. Solo allora, finita l'epoca delle nazioni stesse, i popoli
potranno attuare una reale amministrazione delle risorse planetarie. Utopia internazionalista?
Se anche lo fosse è certo più seria e probabile, come ormai possono vedere tutti, di quella “pacifista”.
Ma non è affatto un'utopia.
A condizione che anche su questo terreno non si deleghi ad altri il nostro futuro.
Passa dalla tua parte, passa al Sin.Base!

martedì 1 luglio 2008

IDENTITà DI CLASSE: L’UNICO METRO DI MISURA

Pubblichiamo qui di seguito il volantino che abbiamo distribuito alla manifestazione di Lunedì 30 Giugno

Il Comitato Studentesco, partecipa oggi alla manifestazione del 30 Giugno, più che per commemorare gli eventi che, in quel giorno del 1960, avevano visto diventare Genova palcoscenico di scontro, per reiterare, insieme ad altri gruppi, la necessità del lavoro di ricostruzione politico di antagonismo sociale.
In questo periodo giornali e telegiornali ci sommergono con emergenze rifiuti, emergenze neo – fasciste in Italia, criminalità derivante dagli immigrati clandestini, ecc…
Come capire, però, quali sono i fenomeni reali e quali, invece, costruzioni mass – mediatiche, costruite ad hoc da settori della borghesia italiana ( ed internazionale) per incanalare paure, sensazioni ed ignoranze della classe lavoratrice a proprio favore?
Molti gruppi, nell’affrontare tali argomenti si sono appellate a generiche società civili, concetto espressione di pratiche interclassiste, che poco aiutano a comprendere le dinamiche di sfruttamento della nostra società.
Voler costruire movimenti, espressione di società civili antifasciste, anti razziste, anti – rifiuti, costituisce solo un giochetto per nascondere dietro paroloni d’effetto la compromissione dell’autonomia e dell’indipendenza del movimento dei lavoratori a settori opportunisti della borghesia illuminata (e neanche tanto).
Noi all’anti-fascismo della società civile, che racchiude da Della valle a Bertinotti, contrapponiamo un anti- fascismo, che in caso di reale necessità, si forgerà sulla base dell’identità di classe; all’anti – fascismo democratico contrapponiamo una concezione che avversa il fascismo poiché lo vede come una delle tante espressioni con le quali si presenta un sistema capitalista.
Il nostro anti – fascismo si trasforma in identità di classe contro il capitale ed il suo Stato, indipendentemente che esso sia fascista, liberale o socialdemocratico.
Stessa cosa per la questione dell’immigrazione; solo l’identità di classe e la coscienza di questa potrà farci capire chi sono i nostri fratelli e chi sono i nostri nemici; nel solco di una tradizione storica che pone l’internazionalismo proletario come uno delle sue colonne portanti.
Ma senza quell’aggettivo “proletario” la nostra linea si ridurrebbe al massimo ad un misero multiculturalismo, in cui i divergenti interessi di classe sarebbero mischiati e confusi, in un’ipotetica società civile internazionale, che nella realtà non esiste dato che viene dilaniata quotidianamente dai concreti antagonismi di classe.
Occorre iniziare ad opporre allo stantio interclassismo, tanto sbandierato da tutti i canali ufficiali, una coscienza classista della classe operaia; un’identità di classe che rappresenta l’unico metro di misura attraverso il quale saremo in grado d’affrontare le grandi tematiche, dall’anti-fascismo, al laicismo, senza perdere la bussola, e soprattutto senza compromettere l’autonomia della classe lavoratrice all’opportunista o al padrone di turno.
Sia a livello studentesco che a livello sindacale, questo tentativo lo si sta facendo proprio a partire dalla pratica organizzativa, terreno in cui si esplica in primis la tanto succitata autonomia.
La costruzione di differenti organismi, sia politici che sindacali, della classe lavoratrice è lunga e difficile, ma assolutamente indispensabile…quindi…
PASSA DALLA TUA PARTE!
ORGANIZZATI NEL COMITATO STUDENTESCO!!!

martedì 17 giugno 2008

Università: da Precari a Disoccupati?!

Come è ormai prassi in tutti gli ambiti statali, comunali, provinciali, regionali, anche l’Università di Genova, che tra le sue file conta centinaia di precari, si appresta ad esternalizzare alcuni di questi tramite agenzie di lavoro a somministrazione (interinali), con un costo più alto per l’Ateneo rispetto ai precedenti contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
Questo è il caso dei “fortunati”, visto che gli sfortunati (che sono la maggioranza) resteranno direttamente a casa, confermando il precariato come forma di sfruttamento del lavoratore, in opposizione a chi sostiene che si tratti solo di “flessibilità”!

Tutto ciò si basa sull’ art. 3 comma 90 legge 244/2007,approvato dal precedente governo Prodi (col servile assenso della cosidetta “sinistra radicale”). Il suddetto articolo prevede che contratti come quelli che venivano adottati dall’università non possano più essere sottoscritti; inoltre l’articolo in questione è stato seguito da circolari sulla Funzione Pubblica, le quali non fanno che rafforzare ciò che è contenuto all’interno della legge. Dal canto suo l’Ateneo poteva, in base alla propria autonomia, decidere di non attenersi alle circolari e tutelare almeno in maniera minima l’interesse di questo folto gruppo di lavoratori, ma naturalmente così non è stato.

Il Comitato Studentesco ed il Sin.Base dichiarano piena solidarietà ai lavoratori dell’Università che rivendicano legittimamente la difesa del proprio posto di lavoro.

E’ un’occasione, questa, per sottolineare l’esigenza di un’unione forte tra studenti e lavoratori e la speranza che questa sia solo una tappa per la costruzione di quest’indispensabile unione.


Comitato Studentesco

Sin.Base

martedì 27 maggio 2008

ASSEMBLEA – DIBATTITO SULLA PRECARIETà

Tutti parlano di precarietà, tutti la citano, tutti la analizzano, tutti la criticano e tutti la vogliono combattere.

La realtà, però, ci racconta di un fenomeno internazionale, come quello precario, in continua ascesa, un fenomeno che trova il suo perché e le sue origini nelle nuove necessità che il sistema capitalistico ha evidenziato in quest’ultimi decenni, e che nel nome della produttività, dell’innovazione e della flessibilizzazione ha imposto questa ennesima modalità di sfruttamento della forza – lavoro a milioni e milioni di lavoratori.

Le dinamiche del mercato internazionale e le violente lotte che in esso si sono svolte tra le differenti potenze nazionali, e sovra – nazionali, hanno imposto questi meccanismi e queste condizioni alle classi lavoratrici di tutto il mondo, con l’esplicito consenso delle classi politiche mondiali.

In Italia, il fenomeno ha trovato le sue prime espressioni a livello legislativo con il pacchetto Treu, portato avanti dal governo di centro –sinistra, per poi essere ulteriormente integrato dai contributi del centro –destra e dell’ormai sepolto governo Prodi.

L’accettazione e l’impulso di tali meccanismi tanto della sinistra (democratica e radicale) quanto della destra è davanti gli occhi di tutti; quello che ha vinto è stato l’interesse della classe dominante a non perdere in competitività e capacità di penetrazione dei mercati rispetto le sue rivali internazionali.

Dai rappresentanti politici di tale classe, che altro ci si poteva aspettare??

Tali tendenza rendono ancora più urgente la necessità di un processo di resistenza a queste dinamiche, che via via interesseranno sempre più ampi settori della forza – lavoro, in Italia come nel mondo.

Ed è appunto da queste considerazioni che abbiamo deciso di fare nostra questa tematica, inserendola nel processo di ricostruzione di un movimento studentesco autonomo, che in questi mesi sta muovendo i primi passi, e che ci sta contraddistinguendo nell’ambito genovese.

Anche nel nostro interesse di futura forza – lavoro salariata abbiamo reputato utile iniziare questo percorso proprio in Università, con un’assemblea – dibattito che metta al centro la tematica della precarietà ed avvii un processo di confronto tra studenti, lavoratori, sindacalismo di base e tutti i soggetti interessati ad un progetto del genere.

Un progetto che quindi non deve limitarsi ad un mero spirito accademico, ma che vuole svolgere da subito una fortissima valenza politica, almeno nell’ambito genovese, nello sviluppo, articolazione e organizzazione di conflitto sociale.

Questa, dunque, una delle prime iniziative che gli studenti genovesi mettono in campo, davanti all’attacco che le classi dominanti di tutto il mondo hanno sferrato alla classe lavoratrice, in un’ottica di lotta del nostro oggi universitario per la difesa del nostro domani lavorativo.

Martedì 27 Maggio 2008, ore 17
Via Balbi 4 - Aula M -
FACOLTà DI LETTERE E FILOSOFIA


Comitato studentesco
Feedback – Collettivo di scienze Politiche
Movimento studentesco di Genova

lunedì 19 maggio 2008

Il Comitato Studentesco al Pride Laico


Inseriamo qui il volantino che abbiamo distribuito durante il corteo del Pride Laico, tenutosi a Genova sabato scorso.


Il Comitato studentesco aderisce oggi alla giornata del Pride Laico, convinto che questa manifestazione possa essere una prima e necessaria barriera da opporre alla dilagante pervasività della morale religiosa nella vita quotidiana di migliaia di persone.
Morale che oltre mettere in crisi il potere di ogni persona di gestire come meglio creda il proprio corpo e la propria sessualità; sviluppa nella quotidianità un lavoro politico di sostegno e di strutturazione di un sistema sociale, come quello capitalista, che basandosi esclusivamente nella ricerca anarchica del profitto, riduce quotidianamente l’uomo ad un mero fattore produttivo.
Le parole di fratellanza, umanità e compassione, anche dei membri più “eretici” delle gerarchie religiose in generale, e della Chiesa Cattolica in particolare, si sciolgono come neve al sole di fronte alla violenza sanguinaria che la nostra società, attraverso le sue strutture, riesce a mettere in campo.
Dal Concilio Vaticano II con il suo cattolicesimo sociale, passando da Wojtyla, per arrivare all’intransigenza teologica di Ratzinger, per citare solo gli sviluppi degli ultimi decenni, la Chiesa si è sempre di più dimostrata collusa con lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; essa non è altro che una delle sue giustificazioni ideologiche
Nel contesto della manifestazione di oggi, questa è una premessa necessaria ed obbligata, ma sicuramente non sufficiente. Soprattutto non è sufficiente il solo sventolio della bandiera della laicità dello Stato, poiché è evidente agli occhi di tutto che la liberazione degli spazi statali dall’influenza più retrograda della Chiesa non risolverebbe l’intricato sviluppo di tutte quelle contraddizioni sociali, che riescono proprio ad esplicarsi per la presenza dello Stato (laico o religioso che sia).
E’ qui che la nostra lotta deve assumere un profilo più ampio e profondo, non ghettizzandosi in una critica giullaresca contro la sola figura Ratzinger, ma partendo dall’aspetto più conservatore e reazionario della nostra società, come quello religioso, per espandere il tutto ad una critica ampia e sistemica della società capitalistica e soprattutto alle contraddizioni che fa emergere in Università.
Occorre partire dalla convinzione che, oggi come ieri, viviamo in una società divisa in classi, ed una lotta che riporti nel luogo di lavoro, come nelle facoltà, il conflitto sociale, necessiti innanzi tutto di un’intransigenza, indipendenza ed autonomia dell’organizzazione degli studenti e dei lavoratori, nei riguardi di tutte le strutture ed istanza riconducibili alla classe dominante.
Classe dominante, che attraverso suoi settori, appoggiano gli studenti in piazza solo quando fa più comodo a loro, mentre li abbandona quando la loro critica non si limita più alle sole gerarchie religiose, ma si estende agli interessi che padroni e Stato impongono all’intera popolazione.
Rivendichiamo la nostra autonomia ed indipendenza fin da oggi, non con vuoti proclami di principio, ma con una prassi politica quotidiana, che non ci asservisca a nessun altro interesse se non il nostro.
Il Comitato Studentesco ha scelto questa strada, certo più difficile ed irta rispetto a quella che passa per le stanze dei bottoni, per servilismo accademico, per i salotti radical-chic, ma unica e necessaria per garantire una vera autonomia politica degli studenti.
Con il Comitato Studentesco abbiamo voluto costruire un’organizzazione politico-sindacale degli studenti, che però superi la becera visione corporativistica di un unico corpo studentesco: esiste lo studente ricco, come quello povero, il figlio del lavoratore, come il figlio dell’avvocato.
Noi abbiamo deciso di organizzare e rappresentare gli strati più deboli ed oppressi del corpo studentesco, quegli stessi ragazzi e ragazze che nel giro di qualche anno non potranno che diventare forza lavoro salariata alla mercé del padroncino di turno.
Ed è anche per questo che il nostro agire politico non si vuole limitare alla staccionata della nostra scuola, della nostra facoltà o del nostro ateneo, ma vuole espandersi in una vasta pluralità d’ambiti di contestazione sociale, in primis quello del lavoro e della classe lavoratrice.
Ricostruire un’alleanza politica tra studenti e lavoratori, evidenziare le contraddizioni che caratterizzano la nostra società, denunciare i processi di sfruttamento che si sviluppano tanto nel nostro oggi universitario quanto nel nostro domani lavorativo, sviluppare e organizzare conflitto sociale, questi gli obiettivi cardine su cui il Comitato Studentesco ha deciso di basare la propria attività teorica e pratica.


E TU DA CHE PARTE STAI???
PASSA DALLA TUA PARTE!
ORGANIZZATI NEL COMITATO STUDENTESCO!

venerdì 2 maggio 2008

Albergo dei Poveri: l’ennesimo fallimento (voluto) di questo modello di rappresentanza studentesca

Da alcune settimene la situazione all’Albergo dei Poveri sembra essersi risolta; dopo frettolosi lavori per mettere in sicurezza le uscite d’emergenza dell’Albergo, dalle eventuali cadute di calcinacci, le aule del piano terra hanno potuto nuovamente essere riaperte.

Il problema come detto, sembra, essere risolto, dato che sono stati gli stessi tecnici interpellati dal Consiglio di Facoltà a sostenere come l’unico intervento che potesse realmente risolvere questo singolo problema sarebbe stato il totale rifacimento del tetto; cosa che ora come ora è totalmente al di fuori delle intenzioni della dirigenza universitaria.

Sorvolando sul disagio che molti studenti hanno dovuto subire dalla temporanea chiusura delle aule del piano terra (che intanto per giurisprudenza continuavano ad essere completamente sicure e dunque di conseguenza utilizzate); questo avvenimento non è che l’ennesima dimostrazione di come le erronee scelte effettuate dalla dirigenza universitarie siano state subite dalla massa degli studenti, senza che fosse possibile una timida reazione degli stessi.

Questo fatto è stato sicuramente causato da quella pigrizia e passività che ormai da troppi anni stanno caratterizzando gli studenti universitari; tuttavia, vi è da dire che, una grossa mano è stata data dalla rappresentanza studentesca, che con il suo silenzio sulla questione ha sfavorito sicuramente l’emergere di una qualsiasi forma di protesta, organizzata o meno.

Tale vicenda, ci ha particolarmente interessato, dato che oltre a rappresentare un tipico caso di mal funzionamento universitario, è un fenomeno che ha visto l’emergere di questo “disagio logistico” proprio nel mentre in cui stavano arrivando a casa di tutti gli studenti i bollettini della seconda rata.

Il paradosso non poteva che essere sotto gli occhi di tutti: mentre si scopriva che l’Albergo stava cadendo a pezzi (bella scoperta!!) e che quindi non era in sicurezza; dall’altra gli studenti di scienze politiche venivano a conoscenza del fatto che le fasce utilizzate per la determinazione della tassazione erano state ulteriormente diminuite (solo tre) e che nel frattempo si era registrato un aumento in assoluto delle tasse!!!!

Gioia e tripudio…mentre noi siamo costretti a pagare tasse sempre più alte e (purtroppo) sempre meno differenziate tra chi ha i soldi e chi non ce l’ha, si registra una decisa accelerazione del degrado delle nostre strutture universitarie!

Ma i nostri rappresentanti dove erano???!!!!!?????

L’unica iniziativa che i nostri rappresentanti hanno reputato di prendere è stata una riunione aperta a studenti e docenti, in cui i tecnici, in poche parole, spiegavano la causa della chiusura delle aule con una semplice comunicazione di servizio.

Il sollevare la questione di perché non fosse stata indetta un’assemblea solo studentesca con il compito di vedere se fosse opportuno organizzare proteste di un qualche tipo, sono state sdegnate subito dalle rappresentanze, sostenendo che quello non era il luogo per affrontare l’argomento (davanti ai professori ed ai tecnici non stava bene…).

Quest’ultima vicenda dell’Albergo dei Poveri, insomma, ha ulteriormente evidenziato la necessità per l’intero movimento universitario, ed in particolare per i suoi settori politicamente organizzati, di sollevare la questione della rappresentanza, e della sua reale efficacia nelle sue odierne modalità.

Da parte nostra questo è un problema che ci preoccupa già da parecchio tempo, e che certo non si può risolvere con una semplice richiesta di aumento del numero dei rappresentanti degli studenti in tutte le istituzioni universitarie in cui la loro presenza è prevista.

Secondo noi, una riflessione sulla questione dovrebbe partire da un’ottica che non prenda in considerazione solo il numero dei nostri rappresentanti, ma che consideri la stessa natura e la funzione che la rappresentanza studentesca dovrebbe avere.

Fino a che la rappresentanza, almeno a Genova, sarà in mano alle principali forze politiche nazionali (ex-Ds, Comunione e Liberazione), che in modo aperto ed indiscriminato appoggiano in tutto e per tutto le scelte erronee della dirigenza universitaria, sarà realmente difficile tentare di dare soluzione al problema puntando solo sulla “leva numerica”.

E’ necessario arrivare ad un ripensamento della rappresentanza, che deve essere interpretata come vera e reale espressione politica del movimento universitario.

Questo da implica da subito una rottura con la visione corporativistica di un unico corpo studentesco; all’interno delle università esiste lo studente ricco, come quello povero, come lo studente lavoratore; e occorre scegliere chi si vuole rappresentare e quali istanze portare avanti.

Ciò é possibile, solo nel momento in cui i rappresentanti sono effettiva espressioni di movimenti studenteschi organizzati, e non espressione (spesso personalistica) di grandi forze politiche estranee alla realtà universitaria ed in generale studentesca.

Un’autonomia politica degli studenti dagli interessi dei poteri forti e del capitale, è possibile solo tramite la strutturazione di un’organizzazione autonoma studentesca, che poi potrà inviare alcuni suoi rappresentanti nei vari consigli di Facoltà e nei vari Senati Accademici, ma non per partecipare in maniera “concertativa” alla costruzione della “loro” università, bensì per rendere ancora più evidente la nostra lotta e denuncia, anche in quegli ambiti istituzionali.



martedì 22 aprile 2008

In questi giorni ci é stato inviato un intervento di un compagno di Spezia, che analizza il risultato elettorale della scorsa settimana.
Intervento interessante, che abbiamo reputato utile pubblicare anche sul nostro blog.
Naturalmente ci auspichiamo che questo sia l'inizio di una proficua discussione sul tema.
Comitato Studentesco
Spariti in un baleno
“Per la prima volta dal dopoguerra non ci sono più comunisti e socialisti in parlamento! Ma come faranno i lavoratori adesso che nessuno li rappresenta più?” Questa patetica buffonata è l’ennesima mistificazione uscita dalla bocca dei dirigenti della “sinistra radicale”. Fa il doppio con quella del risarcimento sociale, imminente, che il governo Prodi avrebbe predisposto, ma che non ha potuto elargire per responsabilità di Dini, Mastella ecc.
In parlamento non siederanno più, tra gli altri, quei determinati bolscevichi del tipo di Pecoraro Scanio, Giordano, Boselli ecc.
In realtà se nessuno rappresenta oggi i lavoratori in parlamento, nessuno li rappresentava neppure nel parlamento uscente: quasi centocinquanta parlamentari di Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi ecc. hanno votato e rafforzato le politiche padronali liberiste, sono stati fedeli scudieri degli interessi dei banchieri (si pensi al TFR dei lavoratori regalato alla speculazione di borsa), hanno canalizzato la protesta verso la resa (vedi la “grandiosa” marcia del 20 ottobre contro il protocollo sul welfare ed il successivo voto a favore del provvedimento) e regalato un fiume di miliardi alle imprese. Hanno riconfermato le leggi sulla precarietà (che peraltro avevano già contribuito a varare), votato per finanziare l’acquisto di armi per le FF.AA., (il più alto stanziamento per la Difesa della storia repubblicana), hanno pagato missioni militari all’estero (e vere e proprie guerre d’aggressione, come la guerra “umanitaria” contro Belgrado). Hanno regalato la rappresentanza garantita ai sindacati di regime. Hanno avvallato la prosecuzione del patto militare segreto con Israele. Hanno accettato la NATO. Sono stati (al di là della propaganda ufficiale di Veltroni) i più fedeli sostenitori di Prodi, al punto di cacciare anche chi timidamente si opponeva a qualche sconcezza.
I maggiordomi fedeli della borghesia non servono più, oggi la borghesia si rappresenta da sola nelle sue istituzioni. La bancarotta bertinottiana è totale, è arrivata al capolinea del travaso di voti verso la destra populista e xenofoba della Lega. (Questo la dice lunga sulla capacità di convincimento ideologico dei fautori dell’”altro mondo possibile”).
Il re è nudo.
Per l’ennesima volta si evidenzia quanto sia illusoria l’idea che sia possibile, tramite la collaborazione di classe, rappresentare gli interessi dei lavoratori, strappare conquiste o, quantomeno, “ridurre il danno” delle politiche padronali. Per anni ed anni i gruppi dirigenti di Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi ecc. hanno fatto credere che la politica “responsabile” della sinistra fosse questa. E non si è trattato solo di una scelta politica “dissennata”, alla base di questo agire politico sta la scelta opportunista di garantirsi la prebenda personale, di tenere il fondoschiena sul calorifero protettivo delle istituzioni. Perché alla base di questo modello politico, di co-gestione del potere, sta l’accettazione del modello statuale -l’idea della neutralità delle istituzioni, cardine della mitologia resistenziale- e dei suoi organi di rappresentanza, le uniche tribune dove valesse davvero (per Bertinotti & soci) spendere il proprio genio.
I dirigenti a palazzo e la base a mescolare il minestrone e a friggere le cotolette, perché altro non ci si aspetta (anzi, così si vuole) dal militante di base. Non credo peraltro ad una base “sana” contrapposta ad una direzione “corrotta”; la collaborazione opportunista per Rifondazione ecc. è sorta prima in periferia (da subito collusi con le amministrazioni locali diessine e le loro porcherie liberiste, privatizzazioni, esternalizzazioni e creazione di precariato) sin dalla nascita di questo partito e senza soluzione di continuità. Per anni chi si opponeva a questo, in buona fede, dall’interno del partito, è stato deriso, emarginato, epurato. E non poteva essere altrimenti, disturbava i manovratori.
All’interno di Rifondazione (ma anche degli altri partiti più piccoli della coalizione arcobaleno), esistono vere proprie lobbies, cordate di potere spesso in lotta fra di loro per assicurarsi il posto nell’azienda municipalizzata, nel consiglio di amministrazione, l’assessorato o lo scranno di parlamentare. Questo è speculare e corrispondente a quanto avviene in tutti gli altri partiti borghesi.
Se una base elettorale, “educata” all’unità strategica con la borghesia, disillusa sulla possibilità di ricevere qualche briciola, ingannata quotidianamente per anni, ha voltato le spalle a questo carrozzone di falsari, preferendo votare direttamente per i partiti della borghesia, come ci si può rammaricare? Hanno affermato per anni che in primis occorreva battere Berlusconi, nel frattempo hanno dispensato legnate (non raccontino che è solo colpa di Prodi) a quella classe sociale che millantavano di rappresentare. Hanno dimostrato di essere un ente inutile, anzi dannoso, e così sono stati percepiti dagli elettori.
E’ prevedibile che un’ondata di roditori abbandoni la carcassa del galeone naufragato per altri lidi più remunerativi, e che altri riprovino a ripercorrere le stesse strade, con un puntiglio patetico (Bertinotti che punta ancora a costruire l’Arcobaleno, Diliberto che vuol tornare alla falce e martello, come se camuffare l’opportunismo lo rendesse ancora presentabile,) ma questo è per me del tutto irrilevante. E’ un passo avanti che il carrozzone dei falsari non sia più lì a mistificare una rappresentanza che non gli compete. Certo, oggi pensare di costruire una sinistra di classe opposta agli interessi della borghesia non è uno scherzo, ma era una priorità anche prima, e comunque senza questi illusionisti tra le scatole c’è qualche possibilità in più.
L’aggressione padronale continuerà con vigore, ed i lavoratori sono oggi politicamente inermi, come lo erano ieri, ma il fatto che si sia azzerato tutto potrebbe rimettere in movimento quelle spinte sane all’aggregazione di lavoratori sulla base di programmi di classe che per troppi anni non hanno funzionato. Naturalmente starà ai compagni di rimboccarsi le maniche perché questo possa avvenire.
Umberto Cotogni

martedì 8 aprile 2008

REPRESSIONE ARMATA IN TIBET E SILENZIO SULLA CONDIZIONE DEI LAVORATORI CINESI

In queste ultime settimane si sono levati cori di sdegno verso la repressione delle proteste tibetane da parte delle forze di polizia della Repubblica Popolare Cinese.
Tutti i maestranti della politica di qualsiasi colore, davanti alle violenze sui manifestanti (e mai prima, lontano dai riflettori) hanno espresso parole di condanna nei confronti della Cina e sostegno alla causa di indipendenza del Tibet.
Si sono sentiti tutti in dovere, in Italia come in Europa e negli Usa, di protestare, giudicare e condannare, ma le proteste, i giudizi e le condanne si sono dimostrate spesso opportunistiche e sempre superficiali.
Premesso che il diritto di autodeterminazione dei popoli pare valere a corrente alternate., a secondo dei rapporti d’interesse geopolitici (il Medioriente insegna), tutte le denunce nei confronti della Cina si soffermano sempre nel particolare della questione tibetana e celano la triste realtà del sistema capitalista cinese.
Negli ultimi decenni, i capitalisti europei ed americani hanno fatto enormi fortune investendo massicciamente in Cina, paese che è diventato un paradiso per i profitti capitalistici e un inferno di supersfruttamento per il proletariato.
Secondo i dati della Banca Mondiale, tra il 1990 e il 2001, il rapporto tra il 20% della popolazione più ricca e il 20% più povero è salito dal 6,5 al 10,6.
Quella cinese è la società più diseguale di tutta l’Asia, nella quale più di 170 milioni di cinesi vivono con meno di un dollaro al giorno.
Il processo di proletarizzazione dei contadini poveri procede inesorabilmente con migliaia di persone che sono costrette ad abbandonare le proprie case per essere inseriti nel sistema di produzione capitalista.
Le condizioni della classe operaia sono simili a quelle dei lavoratori nell’Inghilterra ottocentesca: l’80% di tutte le morti per lavoro tra i minatori, a livello mondiale, avvengono in Cina, fatto che dimostra come il paese si stia trasformando nel terreno di un capitalismo che estrae plus-valore dalle masse produttive.
Le responsabilità di questa disastrosa situazione sono da attribuire al Partito Comunista Cinese e agli organi ad esso asserviti, i quali non si sono limitati ad essere semplici delegati del capitalismo, trasformando essi stessi in un settore importante della nuova classe dei proprietari.
Dal particolare della situazione tibetana, quindi, occorerebbe passare ad una denuncia degli aspetti generali che caratterizzano la situazione cinese, interpretandola come l’ennesima espressione della barbarie del capitalismo internazionale.
Allo sdegno per la repressione in Tibet dovrebbe allora associarsi anche lo sdegno per un sistema capitalista che ammorba la maggioranza della popolazione operaia e contadina.

Nessuna contrapposizione è però utile tra un capitalismo occidentale “buono” e un capitalismo cinese selvaggio e repressivo; utile è invece una solidarietà reale tra le classi lavoratrici di tutto il mondo contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

lunedì 7 aprile 2008

UNA GIORNATA DELLA MEMORIA SMEMORATA?

Ripensando la «giornata della memoria», indetta per ricordare la barbarie dei campi di concentramento di sterminio, non possiamo non rilevare come siano stati sottaciuti i Gulag di marca stalinista. Forse perché nei Gulag non si moriva per la razza «non ariana» ma perché era sufficiente essere un lavoratore «utile» alla costruzione di canali, miniere, acciaierie e quant’altro. In comune avevano invece la repressione, l’identica sorte destinata ai ribelli ed ai «comunisti di sinistra» difensori, in Germania come in URSS, dei lavoratori.


L’ingresso di Auschwitz recante la ben nota scritta «il lavoro rende liberi


E’ bene ricordare che, quando la Germania occupava vittoriosa mezza Europa, la borghesia italiana stava ben attaccata al carro del vincitore e non mirava ad altro che a spartirsi, per quanto poteva, il bottino di guerra col vincitore.


L’ingresso del campo base di Vorkuta recante la scritta:
«In URSS il lavoro è una questione d’onore e di gloria»


Così com’è bene ricordare il «profondo cordoglio» con cui il Parlamento italiano accolse la notizia della morte di Stalin, così come è bene ricordare gli affari italiani, da Togliattigrad ai gasdotti siberiani, felicemente conclusi con l’URSS.




Servi sciocchi dei criminali in vita,
ipocriti commemoratori delle loro vittime quando deceduti.
E questi sarebbero «rappresentanti del popolo»?
Tra breve chiederanno il voto anche a te:
Non delegare la tua rappresentanza a questi «signori della politica»!
Difendi i tuoi interessi in prima persona partecipando al Comitato Studentesco!


martedì 25 marzo 2008

UNIVERSITA’ E FORZA-LAVORO:ORGANIZZIAMOCI OGGI PER DIFENDERCI DOMANI

E di nuovo furono elezioni…
Ebbene sì, a poco più di un anno e mezzo dalla vittoria del fu centro-sinistra, si ritorna alle urne, in un contesto politico apparentemente sparigliato, ma dove gli interessi in gioco, con rapporti di forza differenti, sono sempre gli stessi.
Ancora una volta le forze politiche ritornano a rivolgersi a quello che loro stessi definiscono il “popolo sovrano”, per potersi garantire per altri cinque anni, se riescono, carta bianca sulle nostre vite.
L’inizio di questa campagna elettorale è stata caratterizzata dall’unanime sforzo di tutte le rappresentanze a convincere come l’unico modo perché l’Italia possa uscire dalla crisi, sia quella di superare quella falsa e invecchiata convinzione che l’interesse del lavoratore sia differente da quella del padrone.
Ecco, dunque, l’innovazione, tanto sbandierata da destra come da sinistra, un po’ di sano e vecchio interclassismo!
Insomma, per l’ennesima volta, al di là della retorica democratica, del suffragio universale e degli appelli al popolo sovrano, verranno nuovamente a bussare alla nostra porta, per chiedere un mandato di rappresentanza che, nella reale pratica dei rapporti sociali, si esplicherà solo come rappresentanza dei differenti settori della classe dominante, vero centro decisionale della politica nazionale ed internazionale.
Questa ideologia interclassista, che raggiunge il suo apice in campagna elettorale, è, però, costantemente e quotidianamente presente nei vari ambiti delle nostre vite, e dunque, in primis, all’interno dell’Università.
Un’Università che non si stanca di ripetere come gli interessi di classe siano superati, ma che poi nella pratica li fa emergere, formando una forza-lavoro dequalificata e precaria!
Ecco che scendendo dall’astratto cielo dell’ideologia a quello della vita quotidiana, questi differenti interessi tra padrone e lavoratore emergono in pieno.
Noi studenti, dunque, dobbiamo essere ben coscienti di come, in un sistema di mercato, altro non siamo che futura forza – lavoro da immettere nel sistema produttivo; ed è in base a questa coscienza che nasce la necessità d’organizzarsi per l’immediata tutela di nostri basilari diritti, sia come studenti (costretti a dividerci tra lavori part-time e lezioni, costretti a tirocini umilianti e non pagati,ecc..) ma soprattutto, come futuri lavoratori.
La nostra principale rivendicazione, dunque, in un’ottica d’organizzazione sindacale studentesca, deve appunto essere quella di pretendere una formazione universitaria, che ci garantisca un’entrata nel mercato del lavoro come forza-lavoro qualificata!
Solo questo può costituire un reale strumento di lotta contro la de-professionalizzazione, la precarietà e l’arroganza padronale, solo inserendoci sul mercato in questa relativa posizione di forza potremmo contrastare il padrone che revoca i diritti, il padrone che non assume forza – lavoro sindacalizzata, il padrone che impone lo straordinario come norma o quello che lucra sulle fondamentali norme di sicurezza per guadagnarne in produttività ( vedi Tissenkrupp, Porto di Genova, ecc..).
Siamo ben consci che in un sistema capitalistico di mercato, come forza-lavoro non potremmo mai avere una posizione di predominanza rispetto al padronato, ed proprio per questo emerge la necessità, per la nostra tutela, di tale tipo di rivendicazione; rivendicazione, che potrà avere un qualche effetto nella reale difesa dei nostri basilari diritti, solo attraverso l’organizzazione, unico strumento a nostra disposizione, soprattutto in questo momento di riflusso.





PROGRAMMA GENERALE D'ATTIVITA' DEL COMITATO

Livello politico generale:
  1. Lotta alla precarietà: sia con prese di posizioni politiche sui vari interventi legislativi in materia, sia con attività di supporto a lotte di gruppi di lavoratori precari (dentro e fuori l’Università).
  2. Presa di posizioni politiche su differenti questioni: attività d’elaborazione e diffusione di documenti, volantini, opuscoli inerenti a temi d’attualità politica
  3. Organizzazione seminari/proiezione film: organizzazione di dibattiti e seminari e proiezione di film, avvalendosi anche della collaborazione di docenti, ricercatori, lavoratori, per un’attività di sensibilizzazione degli studenti su svariate tematiche (lavoro, immigrazione, ecc…)
  4. Presa di contatto con gruppi di lavoratori sia all’interno dell’Università, sia all’esterno.

Livello rivendicativo – sindacale:

  1. Rivendicazione sul sistema delle tasse universitarie: studio sul sistema delle tasse universitarie, al fine dell’elaborazione di alcune rivendicazioni materiali a proposito, che possano contribuire, da una parte ad una diminuzione, in valore assoluto, delle tasse stesse, dall’altro, ad un riequilibrio tra tasse pagate e servizi erogati dall’università.
  2. Questione dei libri: necessità di sollevare al più presto la questione dei libri; dal fatto che viene sempre più imposto l’acquisto di edizioni nuove (nella maggioranza dei casi praticamente identiche alle vecchie), al fatto che spesso non si trovano le edizioni richieste per i corsi nelle biblioteche, ecc…
  3. Richiesta di un luogo, all’interno delle facoltà, per le rappresentanze e le organizzazioni politiche studentesche
  4. Questione dell’Albergo dei poveri: nell’immediato una presa di posizione sulla chiusura delle aule del primo piano (avvenuta con la complicità delle rappresentanze studentesche del consiglio di facoltà), e nel lungo periodo, una campagna di denuncia dello stato generale in cui versa l’albergo e delle inefficienze derivanti che ricadono sempre e comunque sopra gli studenti.



UNIVERSITA’ REALE ED UNIVERSITA’ VIRTUALE

L’egregio Ministro Mussi, alcune settimane fa, in relazione alla contestazione al Papa alla Sapienza, dichiarava come tali fatti costituissero un non – sense d’intolleranza, dato che l’Università da sempre rappresentava il luogo d’incontro di diverse culture e pensieri.
Nel tentativo di rafforzare tale tesi, il Ministro si lanciava in una descrizione appassionata dell’Università tratteggiata come frizzante arena di produzione dei saperi, punto d’incontro e accrescimento tra differenti sensibilità culturali, ecc…
Tutta l’attenzione mediatica e non, si è obbligatoriamente concentrata sullo scontro tra papisti e laicisti, sulla soppressione della libertà d’espressione pontificia, non cogliendo in pieno l’occasione che, però, in quel momento si offriva al movimento universitario.
Al di là della diatriba sull’interferenza ecclesiastica, su cui noi ci siamo soffermati con il precedente volantino, quello che salta agli occhi è come l’intera politica organizzata, nel tentativo di difendere l’onore pontificio dall’orda ateista, si sia lanciata in una santificazione di un’Università che nella realtà dei fatti non esiste.
Tuttavia noi studenti, che viviamo quotidianamente la realtà universitaria, ben sappiamo come la situazione dentro gli atenei sia mille miglia distante dalle ipocriti fantasticherie delle classi dominanti.
Ben conosciamo, infatti, il pensiero unico che domina le aule universitarie, che ci obbliga a ripetere come un pappagallo solo quello che esce dalla bocca del professore di turno, che non ammette una diversa interpretazione dei fatti.
Siamo ormai assuefatti dall’università schiava del capitale, quella stessa università che ci dice che le classi non esistono più, per la quale la questione del lavoro è ormai materia da archeologia industriale.
Un’università che si piega a qualsivoglia esigenza delle aziende in cerca di manodopera, con la promessa di lavoro sicuro e qualificato, che sempre si trasforma in lavoro precario (che loro chiamano flessibile) e mal pagato.
Una cultura di parte, che in più si riduce ad essere misurata in crediti, in pagine lette, in formule imparate a memoria, in un vero e proprio buco nero della conoscenza.
Un’università talmente collusa con gli interessi del capitale, da costringere migliaia di studenti a inutili tirocini e stage, che altro non sono sfruttamento di forza – lavoro giovane e non pagata.
Insomma, dov’è finita tutta la loro democraticità, la loro capacità di comprendere l’altro, la loro fine tolleranza intellettuale?
La risposta appare abbastanza ovvia, quello che invece appare una difficile sfida è fare qualcosa per porre un freno a questa situazione, per fare in modo che alcuni nostri diritti siano innegoziabili, per far si che anche il movimento universitario abbia il diritto di parola a proposito.
E’ veramente l’ora che gli studenti si sveglino!!!
Organizziamoci perché il movimento universitario diventi reale propulsore di una radicale dinamica di contestazione sociale, cha parta dall’Università e si diffonda in tutti gli ambiti del sociale.
Per fare questo è necessaria un’intensa campagna di denuncia della realtà universitaria!!

Difendi i tuoi diritti, organizzandoti nel comitato studentesco!
Per una cultura indipendente dal capitale e dai suoi interessi!






IL MOVIMENTO UNIVERSITARIO CONTRO L'ONNIPOTENZA PONTIFICIA: PROSPETTIVE DI UNA LOTTA APERTA

L’università de La Sapienza di Roma, in questi ultimi giorni, si è fatta arena di un violento scontro tra laicisti e papisti.
Oggetto della discussione, è stato l’opportunità dell’intervento del Papa nella cerimonia d’apertura dell’anno accademico, attraverso una sua lectio magistralis.
Dopo vari batti e ribatti, la lettera firmata da vari docenti contro la presenza del Papa, l’occupazione simbolica del rettorato da parte degli studenti; il Papa in persona, con maestosa regalità, ha deciso di non partecipare alla cerimonia.
La politica naturalmente, ha urlato subito allo scandalo, cercando di guadagnarsi la più lauta porzione di benevolenza papale, consci della fetta di voti messa in gioco in questa, come in altre occasioni (sinistra radicale inclusa).
Ai quattro venti sono state urlate condanne del “fattaccio”, interpretato come una violenta soppressione della libertà di pensiero, come un calpestare quella massa silente universitaria che non aspettava altro che l’indicazione della retta via da parte dell’autorità pontificia.
Non c’è che dire che l’arguta mossa politica di Benedetto XVI di non partecipare all’evento, ha reso possibile l’impossibile: ossia ha fatto si che fosse la Chiesa, e il sommo pontefice in primis, la vittima del vile attentato laicista.
Il paradosso è enorme e non può sfuggire a nessuno: la perfetta macchina da guerra pontificia ridotta ad essere l’agnello sacrificale dell’orda ateista!
Insomma, la giusta indignazione degli studenti all’ennesima invasione di campo delle gerarchie ecclesiastiche è stata trasformata, mediaticamente, in una barbarica soppressione della libertà d’espressione, di un’organizzazione che certo non può lamentarsi della poca visibilità (considerando anche i vari giornali e le varie radio direttamente di sua proprietà).
Tanto più che, comunque, l’assenza del Papa all’inaugurazione dell’anno accademico, è stata comunque rimpiazzata dalla lettura del suo discorso. Dov’è, quindi, questa tanto millantata soppressione della libertà di pensiero?!
Comunque, quello che è importante è che, dopo mesi di fitta e pesante propaganda clericale, la protesta de La Sapienza non può che rappresentare una boccata d’ossigeno; infatti dopo tutta una lunghissima serie d’inchini e riverenze, anche l’Università, è riuscita a rialzare la testa e opporre un netto no al dilagare del conformismo cattolico in sfere, come lo è l’Università, completamente aliene al suo spirito.
Leggiamo quindi in maniera positiva i recenti fatti di Roma, dato che essi, oltre alla loro funzione più immediata, potrebbero avere la forza di riaprire una prospettiva di lotta per tutto il movimento universitario, che non si limiti al solo campo religioso, ma che si estenda ad un’ampia campagna contestativa riguardante l’intero mondo universitario.
Il punto di partenza di tutto ciò potrebbe essere la lotta contro l’immagine, che in questi giorni, è stata diffusa dall’intero mondo politico; un’università tratteggiata come un luogo d’incontro e di dialogo tra differenti pensieri e culture, un’effervescente arena di produzione di saperi, insomma un’immagine tanto aulica quanto virtuale, falsa.
Il nostro emerito ministro Mussi, che in questi giorni non si è certo risparmiato nel tratteggiare in questi termini il mondo universitario, sappia che queste fantasie le può rifilare nelle sue convention di partito, ma non a noi studenti, che invece conosciamo l’università del pensiero unico, l’università della dipendenza culturale al liberalismo, l’università della sudditanza al capitale, l’università che misura i nostri saperi in base ai crediti formativi e alle pagine lette, l’università che fa della precarietà la sua base morale e materiale di oppressione.
La denuncia di tutto ciò, deve rappresentare per il movimento universitario il primo passo di una lunga lotta verso una cultura indipendente dal capitale e dai suoi poteri forti.
Lo strumento che permette la trasformazione della mera lotta contro l’interferenza clericale, in una critica generale dello stato di cose presenti, tanto in Università quanto al di fuori di essa, non può che essere l’allargamento della prospettiva della contestazione romana.
Se si vuole realmente che il movimento universitario diventi uno dei reali propulsori del conflitto sociale, la lotta alla religione in Università può e deve essere uno strumento, ma sorge la necessità d’affrontarlo in una certa maniera.
La lotta per uno stato laico é evidentemente una denuncia limitata, dato che limitato è l’obiettivo che essa stessa persegue.
Occorre raggiungere la consapevolezza che l’emancipazione politica dalla religione non è un’emancipazione compiuta, che le contraddizioni relative alla questione religiosa sono solo contraddizioni parziali, dato che anche in una situazione di netta distinzione tra sfera statale e sfera religiosa, i meccanismi statali di sfruttamento di una classe su un’altra restano ugualmente.
L’obiettivo della laicità dello Stato non può dunque che essere un obiettivo parziale, un obiettivo ormai superato; in quanto il limite dello Stato non è quello di essere uno Stato “religioso”, bensì quello di essere uno Stato.
Solo avendo una consapevolezza di questo tipo si potranno sviluppare denunce alle gerarchie ecclesiastiche consone al ruolo che il movimento studentesco dovrebbe avere; cioè di denuncia sociale dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo in tutte le forme in cui essa appaia.

ORGANIZZIAMOCI PERCHE QUESTO DIVENTI POSSIBILE!!

“Il fondamento della critica irreligiosa è: l’uomo fa la religione e non la religione l’uomo. L’uomo è il mondo dell’uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo del quale la religione è l’aroma spirituale”
Karl Marx










domenica 23 marzo 2008

GLI STUDENTI FRANCESI SI RIBELLANO! E NOI?!


Nelle ultime settimane la Francia è in gran fermento.
Assemblee generali che hanno riunito decine di migliaia di studenti, più di 25 università in sciopero, di cui più di 15 hanno votato in modo massivo l’occupazione ed il blocco completo dei corsi.
Al centro della protesta vi è la legge del governo Sarkozy: libertà e responsabilità dell’università (LRU).
Tale legge si basa sul concetto che un ravvicinamento dell’università alle imprese permetterebbe agli studenti di essere più adatti ai bisogni delle stesse imprese e, in questo modo, trovare più facilmente lavoro.
Quello a cui, in verità, la LRU protende è la privatizzazione dell’Università, introducendo in maniera consistente la possibilità del sovvenzionamento da parte d’imprese private, che naturalmente si dovrà sviluppare secondo la logica del mercato e della remunerabilità.
Le Università potranno essere gestite come imprese da dei presidi onnipotenti e da dei consigli d’amministrazione svincolati da ogni controllo.
Inoltre in questo modo le Università saranno messe in concorrenza tra di loro e la conseguenza sarà una diminuzione del finanziamento delle facoltà considerate meno redditizie (vedi facoltà umanistiche), un degrado delle condizioni di studio ed un aumento della selezione tra gli studenti.
La LRU è una delle misure che s’iscrivono nella logica globale di distruzione dell’educazione, dei servizi pubblici, dell’insieme dei diritti sociali; a favore del predominio padronale.
In tale logica s’inserisce anche la situazione accademica italiana caratterizzata da scarse risorse, corruzione e scarsa formazione.
La svalutazione della cultura attraverso la logica dei crediti, corsi post – laurea costosi ed in mano al grande e piccolo capitale ( Pubblitalia, Eni, Confcommercio, ecc..), fanno dell’università italiana un contesto non dissimile da quello francese.
Vi è, però, una differenza, in quanto al protagonismo degli studenti francesi, noi rispondiamo con passività, chiusi nel nostro particolare.
VOGLIAMO ANCORA STARE A GUARDARE??
SOLIDARIETA’ AI COMPAGNI FRANCESI!
SOSTENIAMO ANCHE NOI LA LORO LOTTA, ORGANIZZANDOCI PER LA TUTELA DEI NOSTRI INTERESSI!
PER UNA CULTURA INDIPENDENTE DAL DISPOTISMO DEL CAPITALE E DEL SUO STATO!